Coronavirus, parla l’operaio: “Siamo intrappolati, c’è un rischio in fabbrica”

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Gli operai hanno un timore. Il coronavirus mette in pericolo le fabbriche: siamo intrappolati, afferma un operaio tremante

Il coronavirus desta preoccupazioni nelle fabbriche. Non si sentono sicuri e temono il peggio. Ne parla a Repubblica Ernesto, un operaio. Gli ho fatto: ‘ingegnere, come mai anche lei così presto qui in fabbrica?'”. Ernesto lavora da più di vent’anni alla Beta Utensili di Sovico, impianto storico dell’azienda che sforna in mezzo mondo attrezzatura per la meccanica, la manutenzione degli impianti industriali e gli autoriparatori. Ieri mattina alle sette ha rivisto, per la prima volta dopo tanto tempo, il patron aggirarsi tra le linee di produzione: “Ma non c’era bisogno di quell’apparizione per capire che la situazione si fa davvero seria – racconta l’operaio, 58 anni, padre e nonno -. Il primo focolaio è stato in un ospedale, poi c’è stata la rivolta delle carceri, adesso non vorrei che il caos scoppiasse dentro a una fabbrica. Magari proprio qui in Brianza”.

Siamo intrappolati, abbiamo una richiesta

Ernesto incarna nella sua tuta blu l’appello che il sindacato ha lanciato sia a livello nazionale che locale: “È il momento di concordare una riduzione modulata, dal rallentamento fino alla sospensione momentanea, dell’attività manifatturiera e dei servizi”, chiedono i leader di Cgil, Cisl e Uil, Landini, Furlan e Barbagallo. “Ridurre anche la presenza contemporanea dei lavoratori nei grandi agglomerati industriali”, è l’appello di Francesca Re David, segretario della Fiom- Cgil. Pietro Occhiuto, leader Fiom nella Brianza, segnala che “si stanno estendendo i casi di contagio del coronavirus nelle fabbriche metalmeccaniche del territorio”. Oggi il governo dovrebbe annunciare le misure sul potenziamento degli ammortizzatori sociali nell’intero Paese, “però non so se la cassa integrazione basterà a portare un po’ di tranquillità – prosegue Ernesto che ha appena staccato dal primo turno nello stabilimento di Sovico dove lavorano un paio di centinaia di persone, almeno per la metà operai – . Vediamo tutti quegli attori e cantanti che in tv o sui social, belli come il sole, invitano sorridendo la gente a restare a casa. Ma un operaio come fa? Qui il telelavoro non ha senso. Nei reparti hanno messo i dispenser di disinfettante, hanno raddoppiato i turni di pulizia dei bagni, hanno introdotto lo scaglionamento anche a mensa, ma noi ci sentiamo in trappola e ci chiediamo: ‘perché io sono qui? Perché non organizzano diversamente il lavoro?'”.

I più allarmati sono i giovani neo-assunti che, più di ogni altro, temono nell’emergenza Covid- 19 di avere tutto da perdere. In particolare proprio il lavoro. “Noi vecchi cerchiamo di tranquillizzarli – dice Ernesto – però la loro paura è comprensibile. Ecco perché chiediamo solo un rallentamento della produzione. Non vorremmo che le aziende prendessero la palla al balzo dell’emergenza e della cassa integrazione per mandarci tutti a casa”. Un difficile equilibrismo tra diritti e tutele dei lavoratori da un lato, responsabilità dell’impresa dall’altro e, sullo sfondo, gli effetti di una crisi senza precedenti che rischia di mettere in ginocchio l’intero sistema manifatturiero del Paese. “Intanto io, come i miei compagni, devo pensare anche alla mia famiglia, a tutti i problemi che derivano dalla chiusura delle scuole, dallo stress di ambulatori e ospedali, dalle difficoltà di movimento. Vorrei essere messo in condizione di farlo”.

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