L’industria petrolifera crollerà a causa del Covid-19: spazio alle fonti rinnovabili

Secondo un recente studio condotto da alcuni analisti di Wall Street la pandemia da Covid-19 potrebbe sferrare un duro colpo all’industria petrolifera, lasciando spazio a fonti rinnovabili come quella solare ed eolica.

Petrolio
(Foto di drpepperscott230-Pixabay)

La pandemia da Covid-19 è deragliata: da emergenza sanitaria si è tramutata in una crisi sistemica. Diretta conseguenza è stato lo stravolgimento di ogni settore, tra questi anche quello del petrolio. L’epidemia ha avuto un impatto talmente violento su quest’ultimo che i barili di greggio sono stati letteralmente svenduti. Stando a quanto riferisce la redazione dell’Indipendent il principio di domanda-offerta si sarebbe invertito al punto che sono state le stesse industrie produttrici, pur di sbarazzarsi del prodotto, ad offrire denaro agli acquirenti.

Questa caduta a picco, che si trasformerà in un rialzo esorbitante al termine della pandemia, potrebbe lasciare spazio alle energie rinnovabili come quella eolica e solare. Ad affermarlo alcuni analisti di Wall Street.

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Industria petrolifera e Covid-19: crollo del mercato lascerà spazio ad energie rinnovabili

Inquinamento
(Getty Images)

La redazione di Indipendent ha effettuato una considerazione riguardante l’impatto del Covid-19 sull’industria petrolifera. Per farlo è partita da un’analisi di quello che è stato l’andamento dell’epidemia negli Stati Uniti. Lo scorso mese in Wyoming, Stati Uniti, è accaduto qualcosa di altamente inusuale. Il Paese, produttore di greggio, si è trovato a causa del lockdown a dover svendere il proprio prodotto, o meglio. A causa del lockdown che teneva fermi i cittadini e con essi la circolazione di auto e velivoli, i produttori dello Stato erano disposti a pagare gli acquirenti 19 centesimi al barile pur di disfarsi del prodotto. La scorsa settimana, riporta la redazione dell’ Indipendent, si sarebbe potuto acquistare un barile di petrolio per 5$. In sostanza quanto il valore di una pinta di birra.

Il dato fornito non è solo una inusuale curiosità. Questo trend potrebbe avere un impatto determinante sul mercato petrolifero e divenire un baluardo nella battaglia contro la crisi climatica. Ed infatti, la produzione di petrolio negli USA ed in Canada a causa della scarsa domanda potrebbe subire irreparabile pregiudizio. Milioni di posti di lavoro andranno persi e le aziende cesseranno la produzione. La conseguenza, riporta l’ Indipendent citando l’analisi condotta da Wall Street, veicolerà l’attenzione su altre fonti di energia a basse emissioni di carbonio.

A ciò si aggiunge che la pandemia, sempre in ordine al fattore clima, potrebbe aver avuto un ulteriore risvolto positivo. L’attuale situazione potrebbe, infatti, aver anche modificato permanente le abitudini dell’uomo. Al termine del lock down non è poi così improbabile che in molti lavoreranno più da casa e decideranno di acquistare prodotti a km0. Ciò significa che le aziende potrebbero iniziare a cambiare mentalità e decidere di costruire i propri stabilimenti dove hanno sede ed avvalersi della manodopera locale perché meno rischioso.

Come premesso la considerazione nasce da un’analisi che poco ha a che fare con le campagne degli ambientalisti. Si tratta di uno studio matematico condotto da Jeff Currie, capo globale della ricerca sulle materie prime presso la Goldman Sachs. Quest’ultima è la banca d’investimento di Wall Street.

Il motivo per il quale le industri petrolifere subiranno danni irreparabili

Secondo Currie il crollo della domanda attuale si trasformerà in un’impennata di prezzi domani. Ciò significa che il prossimo anno i prezzi del greggio saranno esorbitanti. L’industria petrolifera non sarà in grado di far fronte allo scompenso poiché sarà difficile trovare acquirenti. Di talchè verrà lasciato un vuoto sul mercato che sarà colmato dalle fonti di energia rinnovabili come quella eolica e quella solare.

Stando a quanto riferisce l’Indipendent, Currie avrebbe affermato che il coronavirus “altererà permanentemente l’industria energetica e la sua geopolitica, limitando la domanda man mano che l’attività economica si normalizza e sposta il dibattito sui cambiamenti climatici“. Currie avrebbe spiegato alla redazione del giornale britannico che il mondo dell’industria, come quello del petrolio, non può subire stop e riaccensioni come accade per un rubinetto. Ci sono dei vincoli fisiologici che quando vengono meno fanno crollare l’intero castello. Nello specifico ha affermato il capo della ricerca della Goldman Sachs che ai pozzi quando vengono chiusi vengono arrecati danni poiché sono depositi organici.

La domanda globale, riporta l’Indipendent, sarebbe scesa nelle ultime due settimane del 30%. Eppure Russia ed Arabia Saudita continuano a mantenere alta la quota di mercato, impegnandosi nella produzione. A causa del drastico calo, dunque, i produttori americani sono disposti a svendere il prodotto piuttosto che chiudere. Per Currie ci vorrà molto denaro per riparare il settore. Eppure la liquidità manca. Una situazione kafkiana, dunque, dalla quale pare quasi impossibile uscire. Anche perché gli investitori pare abbiano perso interessi nei confronti del combustile fossile e si stiano dedicando a fonti alternative. Per non parlare poi del fatto che, riferisce sempre l’Indipendent, le banche abbiano smesso di concedere finanziamenti al settore.

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Inquinamento
(Getty Images)

Questa concomitanza di fattori sta aprendo la porta alle energie rinnovabili, fetta di mercato gradita a chi dispone di capitali di investire. Un parco eolico, infatti, costa meno di un giacimento ed il prodotto finale non solo è più ecologico ma è anche imperituro.

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