Il delitto della Sapienza: l’assurdità di un crimine

Roma: La mattina del 9 maggio 1997 una giovane studentessa muore a causa di un proiettile che la colpisce alla nuca. Si chiama Marta Russo. 

Marta Russo: il delitto della Sapienza
(Getty Images)

Quello di Marta Russo è stato un omicidio controverso e incomprensibile. Le indagini, rese difficoltose dal luogo in cui avvenne – la città universitaria della Sapienza – e dai prelievi e ricostruzioni della dinamica dell’omicidio, sono state oggetto di discussione da più parti, ancora oggi.

La mattina del 9 maggio 1997 Marta, studentessa di Giurisprudenza, attraversava i viali dell’università in compagnia della sua amica, Jolanda Ricci. Improvvisamente, la sua nuca viene colpita da un proiettile calibro 22. Trasferita immediatamente al Policlinico Umberto I, morirà 4 giorni dopo.

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Caso Marta Russo: le difficoltà delle indagini

 

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Le indagini iniziali si concentrarono sulla ricostruzione della vita della vittima, dei suoi famigliari e dei suoi amici. Numerose furono le ipotesi sull’assassinio. Si pensò ad uno scambio di persona o ad un’azione terroristica, si paventò l’ipotesi del “delitto perfetto” o di uno sparo partito accidentalmente. Le difficoltà riguardarono comunque la mancanza di un movente.

Il 21 maggio la Polizia scientifica rileva, sul davanzale di un’aula dell’Istituto di filosofia del diritto, la presenza di una particella ritenuta determinante e residuo dello sparo. Le indagini proseguirono, dunque, nella facoltà di Giurisprudenza, precisamente al secondo piano da cui si riteneva fosse stato sparato il colpo. Le numerose testimonianze raccolte, spesso contraddittorie, individuarono gli assistenti Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro come i responsabili del delitto.

Particolarmente decisive le testimonianze rese dall’assistente Maria Chiara Lipari e dalla segretaria Gabriella Alletto. Da queste, insieme al rinvenimento della particella, si risalì all’aula da cui si pensò fosse partito il colpo e ai responsabili. Scattone e Ferraro saranno accusati di omicidio volontario, pur continuando a dichiararsi innocenti. La morte della studentessa, in assenza di un movente, fu spiegata come la conseguenza di “un gioco”, un fatale errore.

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Dopo anni di processi, Scattone è condannato a 5 anni e 4 mesi per omicidio colposo, in quanto esecutore materiale, Ferraro invece a 4 anni e 2 mesi per favoreggiamento. Le altre ipotesi comunque non furono mai accantonate del tutto, tanto da mettere in discussione la colpevolezza dei due assistenti.

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