Junko Furuta, l’omicidio più violento del XXI secolo: tra cemento, fuoco e benzina

Un caso violento e spregiudicato quello subito da Junko Furuta, ragazza giapponese morta a causa delle terribili violenze subite da una gang di coetanei.

Si tratta di un caso proveniente dal lontano Oriente e in particolare da Tokyo. Una ragazza di appena 18 anni è stata rapita nel novembre 1988 per le strade del quartiere di Adachi, nella capitale. La ragazza fu rapita da un gruppo criminale guidato da Jo Kamisaku, facente parte di alcune gang criminali della città. Insieme ad altri tre ragazzi coetanei di Junko Furuta. La ragazza venne sequestrata e tenuta prigioniera per 41 giorni all’interno di una casa di proprietà. La sua morte è stata causata dalle atroci barbarie compiute sul suo corpo.

omicidio Junko Furuta
Sigaretta (Foto Pixabay)

La banda di criminali costrinse la giovane ragazza a chiamare la famiglia e dire che era al sicuro in un posto lontano da casa. Così evitarono l’indagine. Nelle mura di quella casa, la ragazza fu più volte stuprata, torturata e segregata senza cibo nè acqua. Tra le oscene costrizioni a carico della vittima anche l’obbligo di masturbarsi davanti ai quattro criminali e a mangiare scarafaggi e bere le urine dei suoi sequestratori.

Con la scoperta del bidone, l’autopsia su quel che rimaneva del corpo della ragazza: arrestati i 4 della banda

omicidio Junko Furuta
negozi(Foto Pixabay)

Torture atroci e violenze inaudite. La ragazza fu torturata in vari modi tra cui l’inserimento nel proprio corpo, tra ano e vagina, di lame, coltelli, oggetti incandescenti e mozziconi di sigarette accese. Una tortura che non ebbe fine e che continuò per 41 lunghi giorni. Poi, un giorno, con la scusa di una partita a Majong persa da uno dei quattro sequestratori, la ragazza fu colpita da spranghe e bruciata viva. Morì dopo poche ore.

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Il suo corpo venne poi riposto dai 4 della gang in un bidone e cosparso di cemento e benzina. Venne portata in una discarica isolata. La gang era facente parte di un gruppo criminale noto negli anni Ottanta in Giappone. Un pentito, diversi anni dopo, confessò alla polizia il luogo in cui era stato nascosto il bidone con il corpo della ragazza.

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La ragazza aveva provato diverse volte a scappare dai suoi aguzzini e a chiamare i soccorsi. I colpevoli fotografarono diverse volte le prove dei loro gesti sul corpo di Junko Furuta e le fotografie furono utilizzate nel processo penale. L’autopsia rivelò un corpo, o quel che ne restava, martoriato da violenti torture e i quattro sequestratori furono poi arrestati e condannati.

Sul corpo di Junko Furuta furono trovate diverse tracce di sperma, secrezione delle ripetute violenze sessuali subite dalla ragazza. I colpevoli erano affiliati alla mafia giapponesi e due di essi, a causa della minore età, subirono uno sconto di pena. A causa di questo atroce delitto, le autorità giapponesi abbassarono l’età per la piena responsabilità penale a 16 anni e poi ancora a 14 anni.

 

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