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Economia

Gestione attiva e passiva degli investimenti: differenze e come funzionano

Published by
Silvia Petetti

Chi si avvicina per la prima volta al mondo degli investimenti ha probabilmente già sentito parlare di gestione attiva e gestione passiva. Questi sono due approcci diversi per costruire un portafoglio di titoli, che mirano rispettivamente a superare o a replicare i risultati di un indice di riferimento.

Un esempio chiave per la gestione passiva è investire in ETF, strumenti finanziari che replicano le performance di un indice di mercato, come l’S&P 500. Tuttavia, l’evoluzione del settore ha introdotto anche gli ETF a gestione attiva, che, pur essendo quotati in borsa come i loro cugini passivi, cercano di battere il benchmark attraverso una selezione dinamica dei titoli.

Quasi tutti i fondi Comuni, invece, si basano sulla gestione attiva, con l’obiettivo dichiarato di superare il benchmark. È bene notare che sia la gestione attiva che quella passiva possono essere applicate alla costruzione di un portafoglio di investimento personale, oltre che ai fondi gestiti da professionisti.

In questo articolo, approfondiremo le differenze e il funzionamento di queste due tipologie di gestione, analizzando anche i dati che mettono in discussione la superiorità della gestione attiva nel lungo periodo quando si parla di fondi ed ETF.

Gestione attiva degli investimenti: come funziona

L’obiettivo principale dei gestori che adottano la gestione attiva è quello di ottenere rendimenti superiori rispetto a un indice di riferimento, o benchmark. Per raggiungere questo scopo, creano fondi o portafogli con una distribuzione degli investimenti (asset allocation) diversa da quella dell’indice. Le loro decisioni si basano su analisi approfondite e mirate, che spaziano dall’economia globale alle dinamiche specifiche di un settore o di una singola azienda.

Questo tipo di gestione richiede un numero elevato di interventi di compravendita e di modifica dei titoli in portafoglio, con strategie come lo stock picking (selezione dei migliori titoli) e il market timing (individuare il momento migliore per comprare e vendere).

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che questa attività costante e specialistica si traduce in costi di gestione notevolmente più elevati per l’investitore finale. Un altro aspetto critico è che, nonostante si dichiarino “attivi”, molti fondi in realtà presentano un basso scostamento rispetto al loro benchmark (indice di riferimento), replicandone di fatto la strategia e offrendo prestazioni simili a un ETF passivo, ma con commissioni più alte. E non di poco perché a parità di categoria fra un ETF azionario e un fondo azionario la differenza può essere anche di oltre 2 punti percentuali l’anno.

Gestione passiva: caratteristiche principali

A differenza della gestione attiva, quella passiva consiste nel replicare fedelmente la composizione e la performance di un indice di riferimento. L’obiettivo non è superare il mercato, ma semplicemente seguirlo.

Il gestore, in questo caso, non deve compiere scelte complesse, ma si limita ad acquistare i titoli che compongono il benchmark e a mantenerne lo stesso peso.

I dati e le differenze in breve

Le differenze tra gestione passiva e attiva sono chiare, ma è cruciale esaminarle alla luce delle performance storiche e dei costi. Ecco un riassunto dei punti salienti:

  • Titoli: nella gestione passiva, i titoli sono identici a quelli dell’indice di riferimento, mentre nella gestione attiva vengono selezionati attivamente dal gestore.
  • Rendimento: la gestione passiva mira a replicare il rendimento del benchmark, mentre la gestione attiva si pone l’obiettivo di superarlo.
  • Costi: i costi di gestione, le commissioni e le altre spese sono notevolmente superiori nella gestione attiva e ridotti nella gestione passiva anche perché gli ETF non ristornano ai distributori le commissioni e che costituiscono un handicap che spesso non viene colmato.
  • Operazioni: La gestione attiva richiede frequenti compravendite, mentre quella passiva ha un numero limitato di transazioni.

Gestione passiva e gestione attiva: qual è la migliore?

Arrivati a questo punto, i neofiti potrebbero domandarsi se uno di questi due tipi di gestione degli investimenti può essere considerato migliore dell’altro.

Le statistiche dimostrano che la maggior parte dei fondi a gestione attiva (spesso l’80% o più) non riesce a superare il proprio indice di riferimento nel lungo periodo come testimoniano anno dopo anno le analisi di MorningStar o S&P Global.

I motivi principali sono due:

  • L’erosione dei rendimenti dovuta ai costi elevati: le commissioni dei fondi attivi sono talmente superiori che anche le scelte vincenti del gestore vengono assorbite, rendendo difficile, se non impossibile, battere la performance netta di un ETF passivo.
  • La difficoltà di battere il mercato: Selezionare in modo consistente i titoli che sovraperformano il mercato è un’impresa estremamente ardua e imprevedibile.

Conclusione

Nonostante la gestione attiva possa sembrare più allettante per la promessa di rendimenti superiori, la gestione passiva, in particolare attraverso strumenti come gli ETF, si è dimostrata nel tempo un approccio più affidabile e conveniente per la maggior parte degli investitori.

Gli ETF passivi offrono un modo semplice e a basso costo per ottenere un rendimento in linea con l’andamento del mercato, senza il rischio di scelte errate o l’onere di commissioni elevate. Per questo motivo, sono spesso considerati la scelta più indicata per i neofiti e per chi cerca una strategia di investimento a lungo termine.

Per capire quale delle due tipologie di gestione si adatta meglio al tuo profilo, è per questo motivo sempre preferibile ricorrere all’aiuto di consulenti finanziari indipendenti. Ovvero professionisti senza conflitti di interesse non remunerati sui prodotti che consigliano.