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Benessere

Coronavirus, gli ultimi dubbi sui tempi d’incubazione

Il quotidiano britannico “Independent” cita uno studio di ricercatori cinesi, secondo il quale il periodo di incubazione del coronavirus potrebbe estendersi fino a 24 giorni. In pratica 10 in più di quanto sia  indicato fino a questo momento. Il documento è co-firmato da Zhong Nanshan. Lui è il medico che scoprì il virus della Sars nel 2003 e che sta lavorando come consulente per contrastare l’attuale epidemia.  Viene definito portatore sano la persona che pur avendo contratto il virus ne è immune. Comunque sono capaci di trasmetterlo ad altri soggetti. Recentemente in Germania risulta ricoverato un uomo infettato dal coronavirus. Questo stando alle indagini risulta trasmesso da una donna di nazionalità cinese. Quando i medici hanno convocato la donna per eseguire in maniera urgente le dovute verifiche, si sono accorti che il virus non aveva prodotto alcun sintomo in essa. Si era limitato soltanto alla trasmissione. Come ha ribadito anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si tratta di un virus estremamente pericoloso la cui diffusione potrebbe presto diventare incontrollabile.

Gli ultimi dubbi sull’incubazione, il parere

Stando alle dichiarazioni degli esperti, il periodo di incubazione è di circa 14 giorni. Grazie alle camere termiche mediche è possibile rilevare l’effettiva presenza del virus. Si può bloccarne la diffusione prima della fine del periodo di incubazione. Però sono stati registrati casi di mutamento. I mutamenti in questione riguardano una rapidissima evoluzione del Coronavirus. Esso è diventato capace di continuare il contagio anche se ancora in fase di insediamento. A rafforzare i dubbi arriva anche uno studio cinese pubblicato nella prestigiosa rivista “New England of Medicine Journal”.  «I pazienti ammalatisi con il virus monitorati dallo studio –spiega il virologo Roberto Burioni- stavano ancora relativamente bene pur avendo livelli già elevati di virus nelle prime vie respiratorie. E questo è un dato drammaticamente diverso rispetto alla Sars, dove il picco virale si raggiungeva dopo 10 giorni dai primi sintomi. In pratica quando il paziente stava già molto male e spesso in rianimazione, dove non poteva trasmettere a nessuno l’infezione se non ai sanitari. Ma l’altro aspetto che emerge è che anche il soggetto asintomatico aveva livelli di virus nel naso e nella gola analoghi a chi i sintomi li aveva».. Conclusione: «lo studio dimostra senza ombra di dubbio che anche chi non ha sintomi può trasmettere l’infezione. L’unico modo per evitarlo è mettere in quarantena chi ha avuto contatti con le aree a rischio”.

(Getty Images)

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