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Chi è Nino Di Matteo, il pm antimafia più scortato d’Italia

Chi è Nino Di Matteo, il pm venuto alla ribalta nelle ultime ore per la vicenda relativa al Governo gialloverde e del Ministro Bonafede, lavora da anni sulle stragi del 1992

Falcone e Borsellino foto dal web

Nino Di Matteo, il pm venuto alla ribalta nelle ultime ore per la vicenda relativa al Governo gialloverde e del Ministro Bonafede, lavora da anni sulle stragi del 1992. Quelle che costarono la vita ai giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Da anni lavora alla famosa trattativa tra parti dello Stato e la mafia che costò la vita ai giudici, soprattutto a Paolo Borsellino. Nel processo sulla trattativa è stato anche oggetto di depistaggi, false testimonianze che non hanno trovato riscontro. La mafia è sempre stato il suo grande nemico da battere. E per questo che ha ricevuto numerose minacce, specie da quando passò dalla procura di Caltanisetta a quella di Palermo.

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Chi è Nino Di Matteo, le condanne e la sentenza Stato-Mafia

(foto dal web)

Ben note alle cronache quelle pronunciate pronunciate direttamente da Totò Riina. Il capo di Cosa Nostra diceva esplicitamente al suo compagno di passeggio nel carcere in cui era rinchiuso al «41 bis», di volergli far fare «la fine del tonno», com’era successo con Giovanni Falcone. Il 20 aprile del 2018 arriva la sentenza al processo sulla trattaiva  Stato-mafia. Per i giudici siciliani di merito non ci sono dubbi: nella sentenza si legge che tutti i protagonisti della c.d. “trattativa Stato-mafia” – sia gli esponenti di vertice di Cosa Nostra, sia i pubblici ufficiali coinvolti – sono penalmente responsabili, in concorso tra loro, del delitto di violenza o minaccia ad un corpo politico dello Stato pluri-aggravato ai sensi degli artt. 81 cpv., 110, 338 e 339 c.p. e 7 d.l. 152/1991 (oggi rifluito nell’art. art. 416 bis 1, comma 1 c.p. in seguito alla riforma della riserva di codice del 2018) per aver turbato la “regolare attività di corpi politici dello Stato italiano, ed in particolare del Governo della Repubblica”, usando “minaccia – consistita nel prospettare l’organizzazione e l’esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti (alcuni dei quali commessi e realizzati) ai danni di esponenti politici e delle Istituzioni – a rappresentanti di detto corpo politico per impedirne o comunque turbarne l’attività”.

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Carabinieri (Getty Images)

Ulteriori aggravi di pena sono poi derivati dalla applicazione agli imputati, in ragione del loro diverso ruolo o qualifica, di altre aggravanti comuni di cui all’art. 61 c.p.

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