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Interviste

Fabio Schifino si racconta: “My Dolly vuol essere un messaggio sociale”

Fabio Schifino ci parla di My Dolly, un cortometraggio di matrice sociale che riguarda un tema molto importante: la violenza sulle donne

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Fabio Schifino è un fotografo, regista, documentarista. Attraverso i suoi lavori riesce a trasmettere temi importanti che non vanno mai sottovalutati. Il suo ultimo progetto è un cortometraggio dal titolo My dolly, attraverso cui l’autore tenta di affrontare la violenza sulle donne vista dagli occhi di un bambino.

Abbiamo avuto l’occasione di fare qualche domanda a Fabio, che gentilmente ci ha raccontato com’è nato il suo progetto.

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My Dolly, uno dei suoi ultimi lavori che tratta un tema importante la violenza sulle donne, cosa ci racconta di questo cortometraggio?

Secondo me oggi lo scopo di un film è proprio quello di scuotere anche un po’ le coscienze, cioè negli spaccati sociali, forse la filmografia più di tante altre espressioni può entrare “prepotentemente” diciamo all’interno del visivo di ogni persona. Diciamo in questo progetto ho voluto affrontare questa tematica sociale che oggi è abbastanza attuale quindi la violenza sulle donne, ma dando un tono prettamente diverso. Cioè ho voluto affrontare una violenza psicologica che spesso magari non viene trattata, diciamo a livello filmico perché magari è più importante il fatto di descrivere ciò che succede tra le due persone che entrano in contatto. Io invece mi sono voluto soffermare principalmente sui minori che subiscono psicologicamente. In questo caso è una bambina che subisce psicologicamente la violenza di riflesso tra i due genitori, quindi subita poi effettivamente nella parte fisica della mamma, però ho voluto traslare tutti i personaggi in un mondo immaginifico, questo perché la mia idea registica forse è stata quella di fare captare in maniera trasversale, quindi toccando tutte le generazioni non solo le persone adulte ma anche quelle più giovani. Quindi dare un tono favolistico a questa narrazione. Cioè diciamo i fatti si svolgono in un periodo reale, quindi di oggi, un periodo moderno, però nell’immaginario filmico il fatto che la bambina si rifugga in un suo mondo immaginifico proprio per sfuggire alla realtà, è un fatto che comunque a riguardo di psicologi sociologi, esiste veramente nella sfera dei minori. Girare una realtà cruda, i minori spesso si rifugiano nella fantasia. Io ho voluto dare evidenza a questo fatto creando poi un collante. Alla fine il rifugio non è altro che trovare uno spiraglio per poter uscire fuori da questo momento, da questo cono buio. Quindi attraverso anche la forza di minori, i grandi riescono a prendere possesso, in questo caso la mamma riesce a prendere possesso della sua vita, la sua forza come responsabilità anche nei confronti della figlia. Questo diciamo è il perno visivo del film.

Come è nato il progetto?

 Il progetto nasce guardando come nella società di oggi soprattutto negli ultimi anni, la collettività quindi la società spesso non guarda più a ciò che è lo spessore delle cose. Quindi ci si rifugia spesso in una condizione di solitudine dove appunto scaturisce la violenza. E penso che ognuno di noi nel proprio circondario oppure delle televisioni nei media si inizia a sentire sempre più spesso questa grande matrice della violenza, quindi su questo ho provato a ragionare senza enfatizzare comunque la violenza in sé perché poi già ce ne parla la televisione, i giornali quindi ho voluto dare questo senso di rinascita un po’ dell’individuo. Quindi mi sono soffermato sul sociale come entità che può essere distruttiva della collettività, però risollevare questo sociale in maniera tale da far capire comunque che tante cose possono essere cambiate. Quindi l’immaginario collettivo deve prendere coscienza di quello che sta succedendo, penso che forse offrirlo come dicevo prima, o anche una musica, possa fare anche con un breve momento, un bel store piccolissimo, far ragionare una persona e dire cosa sta succedendo? fermiamoci un attimo. Cosa stiamo facendo? Può esistere anche una realtà su questo, quindi noi siamo, viviamo una forma reale. Forse un film riesce a trasportare i personaggi nella società però con dei parametri e con dei cardini abbastanza importanti che sono quelli appunto dell’amore della socializzazione e comunque una condivisione umana ecco.

Quindi è proprio un messaggio sociale il tuo?

C’è sempre una matrice di riscatto un po’ di risvolta del mondo sociale, cioè non lo vedo comunque sempre noir, inizia magari con una solida realtà che viviamo tutti. Poi la drammaturgia insomma come insegna il cinema forse è il perno fondamentale per capire ciò che poi succede di bello o di brutto. Io comunque cerco sempre di dare il sociale una svolta di positività e questo forse è quello che è stato ben accetti ultimamente soprattutto con My dolly al cinema Farnese dove abbiamo fatto questa prima proprio perché oggi la gente ha bisogno di credere in qualcosa.

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Cioè è vero che esiste un mondo un po’ turpe un po’ una negligenza sociale, però comunque dentro le persone vogliono anche sentirsi dire qualcosa. Forse nel film nella musica in genere può essere magari una forma narrativa in cui queste persone possono riscattarci.

BEATRICE MANOCCHIO

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PER VEDERE L’INTERVISTA COMPLETA A FABIO SCHIFINO GUARDA IL VIDEO:

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