Invecchiare in modo sano: risponde l’esperto

L’invecchiamento è una parte inevitabile della vita, che troppo spesso si tende a nascondere o a sottovalutare ritenendola disdicevole.

Donna bionda di una certa età che si guarda allo specchio

Così facendo si ignorano però importanti campanelli d’allarme, o si adotta uno stile di vita che non aiuta a ritardare o a eliminare l’insorgenza di determinate patologie, le quali possono non solo compromettere particolarmente la qualità di vita ma che diventano anche via via sempre più impattanti sui costi della sanità.

Abbiamo chiesto al dottor Paolo Rinaldi, geriatra a Napoli per la piattaforma di prenotazione idoctors.it, quali sono i fattori di rischio e i relativi accorgimenti che si possono adottare per contribuire a un invecchiamento sano soprattutto a livello mentale.

Che ruolo riveste la prevenzione nell’ambito dell’invecchiamento mentale?

Il concetto di prevenzione, per come si evidenziano le proiezioni di allungamento dell’età anagrafica nei prossimi anni, assumerà sempre di più un’importanza strategica, sia per la qualità della vita, sia per l’impatto dell’aumento consequenziale delle patologie correlate all’invecchiamento sul Servizio sanitario nazionale.

Basti considerare che dall’Unità d’Italia a oggi la popolazione residente è passata da 26 milioni nel 1861 (ai confini attuali) a 59 milioni al 1° gennaio 2022, e che di queste le persone anziane (con 65 anni e oltre), tra il 1861 e il 2022, sono passate dal 4,2% fino al 23,8% della popolazione.

Di conseguenza il capitolo della prevenzione nelle demenze, insieme a quello delle malattie neoplastiche, avrà un ruolo di assoluto protagonista nei prossimi anni. Attualmente si stima infatti che nel mondo oltre 55 milioni di persone convivono con una demenza.

I dati del Global Action Plan 2017-2025 dell’OMS indicano che nel 2015 la demenza ha colpito 47 milioni persone in tutto il mondo, una cifra che si prevede aumenterà a 75 milioni entro il 2030 e 132 milioni entro il 2050, con circa dieci milioni di nuovi casi all’anno (uno ogni tre secondi).

La stima dei costi è di oltre 1 trilione di dollari all’anno, con un incremento progressivo e una continua sfida per i servizi sanitari. Non tralasciano il fatto che la Malattia di Alzheimer, e le altre demenze, rappresentano anche la settima causa di morte nel mondo.

Esiste un modo per prevenire il deterioramento della mente durante la vecchiaia?

Secondo uno studio del 2017 del Lancet Journal, una delle riviste scientifiche più accreditate in America e nel mondo scientifico, la possibilità esiste. La Commissione Lancet 2017 aveva individuato nove fattori di rischio per la demenza:

1. scarsa istruzione

2. ipertensione

3. problemi di udito

4. fumo

5. obesità

6. depressione

7. inattività fisica

8. diabete

9. basso contatto sociale

Fattori che ad oggi continuano ad essere supportati da un numero crescente di evidenze scientifiche. Nel rapporto 2020 la Commissione ne ha aggiunti ulteriori tre:

10. consumo eccessivo di alcol

11. lesioni cerebrali traumatiche (Traumatic Brain Injury – TBI)

12. inquinamento atmosferico

In seguito a nuove revisioni e meta-analisi, la Lancet Commission ha dunque incorporato in un aggiornato “life-course model” dodici fattori di rischio per la prevenzione della demenza, responsabili di circa il 40% delle demenze mondiali, che potrebbero essere prevenute o ritardate. In poche parole, facendo una prevenzione attiva dai cinquant’anni in poi, 40 persone su 100 non svilupperebbero demenza.

Cosa consiglia quindi di fare per evitare o ritardare l’insorgere della demenza?

Considererei innanzitutto di tenere in considerazione i fattori di rischio sopraelencati, attuando quindi comportamenti virtuosi volti ad esempio a:

  • evitare di fumare e assumere alcolici
  • praticare regolare attività fisica
  • tenere sotto controllo l’insorgere di disturbi dell’apparato uditivo, endocrino e circolatorio
  • non isolarsi socialmente
  • seguire una dieta equilibrata
  • mantenere la mente in attività

Negli ultimi anni si stanno inoltre studiando sempre con più attenzione gli effetti di una alterata neuroinfiammazione dell’encefalo.

Bisogna sapere che il nostro encefalo ha una infiammazione soglia fisiologica e che quando questa aumenta la patologia encefalica tende ad aggravarsi molto più velocemente.

Si è oramai appurato infatti che nelle demenze, nel morbo di Parkinson e addirittura nelle depressioni maggiori, la neuroinfiammazione aumenta in maniera patologica, favorendo l’insorgenza della malattia e il progredire della stessa.

Basti pensare che tutto quello che mangiamo, beviamo e respiriamo contiene sostanze ossidanti e pro infiammatorie, ergo dovremmo tutti essere accorti all’alimentazione, preferendo l’inserimento nella dieta di alimenti antiossidanti e antinfiammatori naturali (quali l’olio di oliva extravergine lavorato a freddo, il pesce azzurro, la frutta secca, la curcuma ecc.), praticamente la nostra dieta mediterranea, ovviamente preferendo la qualità degli alimenti.

A tutto questo dobbiamo associare che nella vita di tutti i giorni il fattore stress è il reale protagonista e che questo incide non poco sulla salute del nostro encefalo.

Inoltre tutti noi, complici le nuove tecnologie, non stimoliamo più la memoria come si faceva prima, almeno fino una ventina di anni orsono (io stesso non ricordo più moltissimi numeri di telefono, affidandomi alla memoria del mio cellulare).

A questo va aggiunto che non si legge più in maniera approfondita ma ci si accontenta solo di leggere i titoli principali delle notizie o peggio di vedere i video correlati.

Leggere è invece molto importante per la salute mentale perché stimola determinati processi sinaptici che altrimenti non vengono stimolati: chi non legge aumenta quindi il proprio rischio di perdita di memoria rispetto ai lettori più assidui.

Tutto questo va a complicare ulteriormente il discorso favorendo l’insorgenza di demenza e concorrendo ad un abbassamento dell’età in cui si iniziano a sviluppare i deficit cognitivi.

Infine, secondo la mia esperienza, ai dodici fattori di rischio elencati prima, aggiungerei un tredicesimo:

13. qualità del sonno

È importante infatti sapere che la sindrome delle apnee notturne (OSAS), a molti misconosciuta, è una delle cause più frequenti di disturbi della memoria dai sessant’anni in poi.

Le apnee notturne, a lungo andare, contribuiscono a far sviluppare una carenza del microcircolo cerebrale, creando danni all’encefalo che si declinano, tra le altre cose, in disturbi della memoria e della concentrazione.

Sarebbe quindi utile per tutti approfondire la qualità del sonno con un esame non invasivo chiamato polisonnografia, soprattutto se si intercettano frequenti momenti di stanchezza con fenomeni di facile addormentamento nelle ore diurne.

Concludendo, dopo i cinquant’anni è utile farsi seguire dal proprio medico curante o da uno specialista per tenere sotto controllo i fattori di rischio, per farsi consigliare una dieta appropriata e, eventualmente, perfezionare la terapia con integratori che aiutano a mantenere in salute l’encefalo rallentando il fisiologico invecchiamento cerebrale.

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