Tamponi e test sierologici, differenze: tutto quello che c’è da sapere

Tra tamponi e test sierologici intercorrono sostanziali differenze, dalla funzioni alle diverse modalità di esecuzione. È bene fare chiarezza.

Coronavirus
(Getty Images)

È un argomento, quello relativo ai test sierologici, che negli ultimi giorni è oggetto di numerose discussioni. La loro importanza pare essere vitale adesso, che il Paese sarebbe in procinto di avvicinarsi alla tanto anelata Fase 2. Ma cosa sono i test sierologici e quali sono le differenze con i tamponi? Sul punto è necessario far chiarezza.

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Differenze fra tamponi e test sierologici: parlano gli esperti

Due dispositivi nettamente differenti, i tamponi ed i test sierologici, con funzioni altrettanto distinte. Eppure, negli ultimi giorni, pare si sia creata confusione in merito. Bisogna, dunque, fare chiarezza e comprendere perché alle porte della Fase 2 i test svolgano un ruolo fondamentale.

Procediamo con ordine. Il tampone è il mezzo attraverso il quale è possibile comprendere se un soggetto ha contratto il virus. Il test sierologico, invece, consente di verificare se l’individuo sottoposto a controllo ha sviluppato degli anticorpi contro il virus, segno che confermerebbe un contagio ormai superato. È, dunque, questa la prima differenza da tenere bene a mente per comprendere a grandi linee la netta distinzione esistente tra i due esami. Ma c’è dell’altro, a partire dalla modalità di esecuzione.

Come funzionano i tamponi

A spiegare come si effettuino i tamponi hanno provveduto numerosi esperti. Tra questi il professor Fabrizio Pregliasco. Il noto virologo dell’Università di Milano ha spiegato che tramite l’impiego di un bastoncino di cotone si preleva materiale biologico dalla mucosa delle prime vie respiratorie. La faringe è la zona migliore, riferisce il professore stando a quanto riporta il Giornale di Brescia, per verificare la presenza di un virus. Una volta ottenuto il materiale dalla mucosa, il bastoncino viene riposto in un contenitore sigillato. Il campione viene spedito in laboratorio ed ivi sottoposto alla cosiddetta Reazione a Catena della Polimerasi. L’esito dell’esame darà riscontro in merito ad una positività o meno, nel caso che attualmente ci riguarda, al Sars-Cov-2. Per maggior sicurezza il soggetto risultato positivo viene sottoposto ad un ulteriore tampone per avere conferma del risultato.

Ottenuto quest’ultimo si procede o al ricovero in ospedale o all’isolamento domiciliare (nei casi meno gravi) ed il soggetto è sottoposto ad altri due tamponi a distanza di 24 ore.

I test sierologici: alleati della Fase 2

I test sierologici, come già precisato, sono ritenuti i grandi alleati della Fase 2. Ed infatti, questi ultimi, permetterebbero di delineare un quadro completo della circolazione del virus sul territorio nazionale. A sostenerlo, tra i tanti, anche il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), Silvio Brusaferro. I test, infatti, rileverebbero la presenza di anticorpi all’interno dei soggetti. Ciò significa che dimostrerebbero una pregressa positività.

Quanto ai tipi di test, gli esperti precisano che ne esistono due. Il primo è quello che si basa sul metodo della chemiluminescenza e il secondo quello definito Elisa. A specificarlo, riporta Il Giornale di Brescia, il virologo Francesco Broccolo, dell’università Bicocca di Milano.

Quanto alla ChLia, si basa su una reazione chimica. Nel momento in cui gli anticorpi si legano alla sostanza che viene riconosciuta estranea dal sistema immunitario, avviene l’emissione di una luce rilevata da un sensore. L’Elisa, invece (acronimo dall’inglese Enzyme-linked immunosorbent assay), è un metodo definito colorimetrico. Anche in questo caso, come nel primo, l’antigene aderisce ad una superficie e quando si lega all’anticorpo, quest’ultimo viene messo in risalto da un enzima che comporta un cambio di colore.

Il professor Broccolo, riporta Il Giornale di Bergamo, ha spiegato che entrambi i metodi sono da ritenersi affidabili. In questo particolare momento, sono numerose le aziende specializzate che si stanno adoperando nella produzione di test sui quali ottenere la marcatura CE. Ed infatti, è necessario che si arrivi ad un sistema univoco in grado di dare attendibilità ai dati raccolti.

Per i test sierologici serve metodo univoco

Il problema principale, infatti, non è il metodo impiegato per eseguire il test, che sia il ChLia o l’Elisa. Ma il fatto che si utilizzerebbero antigeni differenti che potrebbero avere caratteristiche e sensibilità distinte.  Al momento, riporta Il Giornale di Bergamo le aziende in procinto di lanciare test sul mercato sono Roche, Abbott, Beckmann Coulter, DiaSorin, Snibe, Pantec.

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Laboratorio
LABORATORIO (Getty Images)

Esistono, conclude il professor Broccolo, anche test rapidi che si compongono di una tavoletta di nitrocellulosa su cui gli anticorpi vengono evidenziati da una barretta colorata. Questi ultimi, però, non sarebbero accurati come il ChLia e l’Elisa.

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