Cetacei a rischio estinzione: il rapporto di Greenpeace

L’associazione ambientalista Greenpeace, ha pubblicato un rapporto nel quale denuncia le cause che starebbero spingendo all’estinzione i cetacei: da un lato l’uomo e dall’altro un virus.

Balena
(Getty Images)

Greenpeace prosegue il suo viaggio attraverso le coste italiane nell’ambito del progetto Difendiamo il Mare. A bordo della Bamboo ed in collaborazione con l’Istituto Tethys è in procinto di recarsi nel Mar Ligure per studiare i cetacei. Alla vigilia della sua ripartenza, Greenpeace ha deciso di pubblicare un rapporto nel quale ha ricapitolato la condizioni di questi straordinari animali.

Purtroppo, è emerso che da un lato l’uomo e dall’altro un virus starebbero mettendo a dura prova la loro sopravvivenza.

Greenpeace, rapporto sui cetacei: a rischio estinzione per colpa dell’uomo e di un virus

Balena
(Getty Images)

Come spesso accade, dietro la sempre minor sopravvivenza di alcune specie ci sarebbe l’uomo. Anche nel caso dei cetacei le attività umane sarebbero responsabili di una accelerazione nella loro scomparsa. Nello specifico, denuncia Greenpeace, numerosi esemplari di questa specie sarebbero deceduti a causa delle reti in cui sono rimasti impigliati, illegali o addirittura dimenticate in acqua. Recentissima la cronaca che parla di due spadare nelle Eolie che hanno intrappolato due capodogli.

Degli esemplari spiaggiati, afferma Greenpeace, tra il 2008 e lo scorso anno oltre l’80% aveva ingerito della plastica, rinvenuta all’interno dei loro stomaci. Si pensi che la femmina di capodoglio arenatasi ad Olbia ne aveva oltre 20 chili.

A contribuire a tale “intossicazione” sono tutti i residui plastici che si riversano in mare e che provengono dall’agricoltura, dalle filiere di produzione. Scarti che pur non uccidendo i cetacei li stroncano dall’interno, abbassando le loro capacità digestive.

Oltre alla piaga dell’uomo su questi poveri animali si sarebbe abbattuto anche un virus. Quello del morbillo con precisione, che sembra essere riaffiorato dopo un’epidemia registratasi trent’anni fa e che ha avuto luogo l’ultima volta nel 2008. Ed infatti dei 6 capodogli che si sono spiaggiati sulle coste italiane la scorsa estate ben cinque erano affetti dal virus. A destare preoccupazione e la circostanza per cui si starebbe verificando il cosiddetto salto di specie proprio come accaduto per il Sars-Cov2 toccando specie molto lontane.

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Inquinamento mare
(Getty Images)

Sandro Mazzariol dell’Università di Padova, coordinatore del report, ha affermato che in Italia l’impegno di enti e di veterinari, sul punto, è massimo. Tuttavia la rete di raccolta dati, nata nel 2015 andrebbe riattivata. Ciò creerebbe un database sempre fruibile ed omogeneo a livello nazionale.

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