“Alaska Airlines 261” precipita dai 3.000 mt di altezza: vittime e cause dell’incidente

Altro episodio mozzafiato della saga “Indagini ad Alta Quota”, con il volo Alaska Airlines 261 che perde il controllo e precipita in picchiata

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Alaska Airlines 261 – Screenshot Video

Dopo il secondo episodio del primo capitolo della saga documentaristica di Discovery Channel “Indagini ad Alta Quota” ecco a voi un altro racconto “precipitoso” che vi farà rimanere a bocca asciutta.

Questa volta sotto la lente di ingrandimento ci finisce un volo “Alaska Airlines 261”, il cui spaventoso epilogo è datato al 31 Gennaio del 2000, con videomontaggio per la ricostruzione dell’incidente a cura dell’NTSB, agenzia investigativa che studia i dettagli degli incidenti dovuti alle anomalie.

L’incidente di percorso ha riguardato stavolta un McDonnell Douglas MD-83 della compagnia americana di Alaska. Con tratta di competenza Puerto Vallarta (Messico) – Seattle (USA) e scalo intermedio a San Francisco. Sull’aeromobile erano presenti ben 88 passeggeri, di cui 5 tra pilota e co-pilota, hostess e controllori di bordo

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Volo “Alaska Airlines 261”, i dettagli del terribile incidente

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Retro Alaska Airlines 261 – Screenshot Video

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Dopo aver effettuato gli interventi di manutenzione al velivolo in fase pre-partenza, il volo di linea “Alaska Airlines 261” è decollato dall’aeroporto di Puerto Vallarta, direzione San Francisco. Alle ore 16:30 il sensore vettoriale della traiettoria scompare d’improvviso dal radar dei controllori di volo della stazione intermedia di sosta.

Nella mente dei piloti paventa l’ipotesi di un atterraggio d’emergenza a Los Angeles per verificare lo stato di efficienza del veivolo. L’McDonnell Douglas MD-83 aveva aumentato i giri del motore per accelerare i tempi. Una volta raggiunti gli 8.000 metri di altezza, il comandante adopera la manovra di atterraggio con l’attivazione dei flap esterni, per diminuire la velocità.

Nonostante la manovra idonea alle norme per riportare i membri dell’equipaggio sulla pista di Los Angeles, il pilota non riesce più a controllare il mezzo di trasporto, una volta raggiunta quota 3.000 metri. Appena 4 secondi dopo aver preso per un attimo le redini di gestione della velocità, la “prua” dell’aereo punta improvvisamente verso il basso: il destino dell’intero equipaggio è ormai segnato!

Le cause dello schianto e il dolore dei familiari

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Alaska Airlines 261 in picchiata a 500 km/h sulla superficie dell’Oceano Pacifico – Screenshot Video

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Nella sala di aspetto dell’aeroporto di San Francisco vi erano i parenti dei membri dell’equipaggio, pronti a riabbracciare i loro cari. Ma la notizia sconvolgente giunse alle loro orecchie, prima di cadere nello sconforto più totale.

Il volo “Alaska Airlines 261” dopo aver perso quota precipita ad una velocità di circa 500 km/h in direzione della massa d’acqua. Lo schianto è inevitabile: in quell’occasione persero la vita tutte le 88 “anime” che viaggiavano a bordo del “McDonnell”, mentre i resti umani e dell’aereo furono ritrovati qualche giorno dopo a ben 80 metri di profondità dalla superficie dell’Oceano Pacifico.

Le cause del terribile impatto con l’Oceano del volo 261 sono riconducibili a guasti di stabilizzatori, derivanti da un’inadeguata manutenzione. Una “leggerezza” sottile, quanto un chiodo fuori posto, ma determinante per causare un disastro di tale portata.

L’apparecchio che precipitò nei pressi di Point Mugu presentava un’anomalia, dovuta ad errori di progettazione e scarsa lubrificazione nella parte terminale della fusoliera del mezzo. Gli inquirenti scoprirono che quei “pezzi” non erano stati acquisiti dal magazzino, bensì presso rivenditori terzi, in tema di risparmio e non a norma con i protocolli di sicurezza.

Il tutto era stato risolto con una stretta di mano tra gli interessati, anche per uno scopo ben preciso. Ovvero assicurarsi che ogni mezzo della compagnia dell’Alaska si mantenesse in volo in maniera piuttosto costante durante l’arco di un’intera giornata.

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Un post condiviso da NTSB (@ntsbgov)

Un anno dopo il terribile incidente, l’NTSB effettuò un’indagine approfondita sugli interventi di manutenzione, che diversamente da come assicurato a più riprese, non presentavano documenti che accertavano opere di riparazione. Un dipendente dell’Alaska Airlines fu condannato al licenziamento in tronco, dopo che aveva dimostrato agli avvocati della compagnia, le conseguenze della scarsa manutenzione, fornendo le dovute prove

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