Omicidio Yara Gambirasio: la ricostruzione del caso e le fasi del processo

Condannato in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio, uccisa nel 2010 a soli 13 anni, Massimo Bossetti, muratore di Mapello. Il suo Dna è risultato coincidere con quello rinvenuto sul corpo della ragazza.

Yara Gambirasio
Yara Gambirasio (foto dal web)

Il 26 febbraio del 2011 un uomo si imbatte in un cadavere mentre sta camminando nel campo di Chignolo d’Isola. Il corpo appartiene a Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa tre mesi prima da Brembate di Sopra (Bergamo). Dopo oltre tre anni di indagini, le forze dell’ordine nel giugno del 2014 arrestano Massimo Bossetti, un muratore di Mapello considerato l’assassino della ragazzina. Il processo nei confronti dell’uomo si chiude con la condannato all’ergastolo nei primi due gradi di giudizio, confermata in via definitiva dalla Corte di Cassazione.

Omicidio Yara Gambirasio: la scomparsa ed il ritrovamento del cadavere

Nel tardo pomeriggio del 26 novembre del 2010, a Brembate di Sopra, comune in provincia di Bergamo, scompare una bambina di 13 anni, Yara Gambirasio. La piccola, come di consueto, si era recata nel centro sportivo, dove si allenava in ginnastica ritmica, che dista solo poche centinaia di metri dalla sua abitazione. La 13enne non rientra a casa ed i genitori si allarmano e denunciano la scomparsa, circostanza che fa scattare le indagini dei carabinieri.

Dai primi accertamenti non è possibile rintracciare con certezza i movimenti della ragazzina, dato che le telecamere che si trovano nell’area sono fuori uso. I carabinieri esaminano, dunque, le celle telefoniche dal quale si evincono alcuni spostamenti: tra le 18:44 e le 18:55 il cellulare di Yara aggancia alcune celle distanti dal centro sportivo, quella di Ponte San Pietro via Adamello, quella di Mapello, circa tre chilometri da Brembate, ed infine quella di Via Ruggeri.

A pochi giorni dalla scomparsa, i carabinieri fermano un operaio di Mapello di origine marocchina, Mohammed Fikri, ma la sua posizione è archiviata poiché del tutto estraneo alla vicenda. A indirizzare i carabinieri verso Fikri sono le tracce molecolari di Yara ritrovate in un cantiere dove lavorava l’operaio ed una sospetta conversazione telefonica nella sua lingua intercettata, ma che poi si rivelò infondata per via di un errore di traduzione. Mentre gli inquirenti battono ogni pista con la speranza di poter rintracciare Yara, il 26 febbraio un fulmine a ciel sereno. Un uomo in un campo di Chignolo d’Isola, centro distante oltre 10 chilometri da Brembate di Sopra, ritrova per caso il corpo senza vita della giovane.

Omicidio Yara: le indagini e l’arresto di Massimo Bossetti

Gli inquirenti dispongono, dunque, l’autopsia dalla quale emerge tutta la brutalità di un delitto che scuote l’Italia intera e riempie le pagine dei giornali. Il medico legale sul corpo della ragazza rinviene alcuni colpi di spranga, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio. Sul corpo di Yara, che sarebbe morta in quel campo dopo una lunga agonia, vengono anche rilevate delle tracce di Dna. Quest’ultime sono riconducibili ad un soggetto identificato come “Ignoto 1“.

Il campione viene confrontato per mesi con quello di diversi soggetti e, al termine delle analisi, si scopre che il sospettato potrebbe essere il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, un camionista e autista di corriere di Gorno, deceduto alcuni anni prima. Per queste ragioni, gli inquirenti decidono di riesumare la salma dell’uomo e si risale a Massimo Bossetti, presumibilmente nato da una relazione clandestina tra sua madre Ester e l’autista. Il dna di Bossetti, 44enne residente a Mapello, e quello di “Ignoto 1” coincide secondo gli inquirenti al 99,999%.

A questa prova, considerata la più importante, si aggiunge un presunto filmato delle telecamere che riprenderebbe il furgone di Bossetti davanti al centro dove si allenava la vittima. Il video fa il giro delle trasmissioni televisive, ma dopo tempo si scoprirà, per stessa ammissione dei carabinieri, che il filmato è stato creato in accordo con la Procura di Bergamo per “esigenze di comunicazione alla stampa”. Per gli inquirenti non ci sono dubbi: Massimo Bossetti è il colpevole e ne viene ordinato l’arresto, effettuato il 16 giugno 2014 mentre quest’ultimo si trovava sul posto di lavoro. A dare l’annuncio dell’arresto è l’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano, circostanza che scatenerà non poche polemiche.

I processi e la condanna definitiva all’ergastolo

Dopo l’arresto, il caso tiene banco in numerosi programmi di approfondimento ai quali prendono parte anche gli avvocati dello stesso muratore di Mapello. Tutti seguono gli sviluppi della vicenda, ogni aggiornamento diventa l’apertura dei telegiornali e l’Italia si spacca tra innocentisti e colpevolisti. Il processo contro Bosetti si apre il 3 luglio del 2015 e, nonostante le eccezioni sollevate dai legali dell’imputato in merito alla prova regina sul Dna, si chiude con la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Yara commesso con l’aggravante della crudeltà. A Bossetti la Corte d’Assise di Bergamo revoca la potestà genitoriale sui tre figli e dispone un risarcimento per i genitori della 13enne. I giudici assolvono l’imputato dall’accusa di calunnia ai danni di un suo collega. La condanna all’ergastolo è in seguito confermata anche alla chiusura del processo d’appello il 17 luglio 2017 a Brescia.

Il 12 ottobre 2018, a quasi 8 anni dalla scomparsa di Yara, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della difesa di Bossetti. La Suprema Corte, dunque, conferma la condanna all’ergastolo rendendola definitiva. Nel settembre 2019, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha rifiutato la richiesta di revisione del processo presentata dai legali di Bossetti dichiarata inammissibile.

Massimo Bossetti
Massimo Bossetti (foto dal web)

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