Gli effetti del caldo sul virus: lo studio dell’Università di Milano

Secondo un recente studio condotto da due esperti dell’Università di Milano con il caldo il virus andrà incontro ad una battuta d’arresto.

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L’estate potrebbe essere il più grande alleato dell’uomo nella lotta contro il coronavirus. Stando ad un recente studio, titolato “Climate Affects Global Patterns Of Covid-19 Early Outbreak Dynamics” e condotto da due professori del dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’università Statale di Milano, il caldo potrebbe arrestare l’inesorabile avanzata del virus.

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Il caldo potrebbe allentare la morsa del virus: il recente studio

La mappa pubblicata all’interno dello studio condotto dall’Università Milano ( fonte MedRxiv )

I professori Francesco Ficetola e Diego Rubolini, del dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’università Statale di Milano, hanno condotto uno studio chiamato “Climate Affects Global Patterns Of Covid-19 Early Outbreak Dynamics” pubblicato su MedRxiv. I due esperti avrebbero scoperto che il virus si diffonderebbe maggiormente con le basse temperature, il che significa che con il caldo potrebbe conoscere un considerevole freno.

Il loro lavoro si è concentrato, riporta Il Giornale, su un’analisi attenta dei dati che hanno confermato le prime ipotesi avanzate da illustri virologi ad avviso dei quali le temperature elevate avrebbero influito positivamente sulla lotta al virus.

Come è stato condotto lo studio: raccolta dei dati

La ricerca è partita raccogliendo i dati sui casi di contagio verificatisi in tutto il mondo che sono stati poi raffrontati con quelli relativi alle temperature nelle varie Nazioni. Ciò ha condotto ad una rilevazione non di poco conto ossia che i casi gravi diminuiscono dove le temperature risultano maggiormente elevate.

I due esperti, riporta Il Giornale, hanno precisato che non si è evidenziato un avanzare del virus in base alle temperature ma che l’aumento di casi gravi si è registrato nelle aree in cui le temperature erano più rigide. Ad esempio in Europa dove le colonnine di mercurio hanno toccato i 5°C.

L’obbiettivo della ricerca, hanno proseguito i due professori, era quello di constatare quale fosse la velocità di espansione dell’epidemia nelle varie parti del Pianeta. Un focus che marcato un celere progredire in zone come il Nord America, l’Europa e prima ancora in Cina, tutti luoghi che appartengono alla medesima fascia climatica.

Le osservazioni all’esito dello studio

Quanto ricavato dall’analisi ha condotto i due professori dell’Università di Milano a ritenere che nei paesi in cui vi sono condizioni climatiche calde il numero dei casi positivi è minore, e ciò sarebbe dovuto ad un fattore ben preciso. Il sistema immunitario funzionerebbe meglio quando il clima è mite. Un principio che vale anche per l’influenza stagionale, così detta proprio per la sua stagionalità. È difficile, infatti, contrarla in estate o primavera.

Stando a quanto riporta Il Giornale, lo studio dei professori Francesco Ficetola e Diego Rubolini ben si allineerebbe con quelli che sono i dati già in possesso della comunità scientifica. È paradossale eppure è così. I virus che all’interno del corpo proliferano ad alte temperature, al di fuori di esso tendono a perire quando il caldo si fa sentire. Gli esperti, riporta Il Giornale, avrebbero affermato che a 20°C il virus non riuscirebbe a resistere per più di qualche ora, ma ciò non significa che il virus sarebbe annientato, solo che ci sarebbero minori possibilità di contrarlo. Per “uccidere” il virus istantaneamente dovrebbero volerci 80°C, temperature da sterilizzazione in pratica.

I prossimi bersagli del Covid-19

Lo studio così come ha dimostrato che il caldo potrebbe essere un ottimo alleato contro il virus, dall’altro potrebbe fornire un prospetto di quelle che saranno le prossime parti del mondo colpite. Ed infatti, se in Europa ad esempio sta facendo capolino la primavera dall’altro lato dell’emisfero la situazione è diametralmente opposta. America Meridionale, Sud Africa, Australia e nuova Zelanda nei mesi da giugno a settembre, potrebbero rappresentare una culla climatica favorevole.

Stando alla ricerca, riporta Il Giornale, sarebbe emerso che clima, umidità e latitudine sono i tre fattori che accomunano le parti del pianeta con più contagi. Una rilevazione condivisa anche dal Global Virus network. Ad essere maggiormente colpiti sarebbero quei paesi che all’inizio dell’epidemia registravano temperature tra i 5 e gli 11°C.

Il caso dell’Africa e degli africani

Il fatto che a New York le persone di colore fossero le più colpite ha fatto cadere una prima ipotesi che i soggetti di origine africana avessero anticorpi più sviluppati. In Africa il coronavirus avrebbe preso meno piede perché, sempre secondo gli esperti dell’Università di Milano, l’età media della popolazione sarebbe nettamente inferiore rispetto a quella dei Paesi occidentali. Ed il virus, come noto, aggredisce maggiormente gli anziani.

Gli effetti del lockdown sono stati positivi o no?

Lo studio, infine, si è concentrato sull’utilità del lockdown, e sul ricorrente dubbio circa l’eventuale non applicazione di quest’ultimo da parte dei Governi.

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Maggio coronavirus
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Non vi è dubbio, se non fossero state imposte misure di contenimento non ci sarebbero stato un decremento così evidente dei contagi.

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