Alberto Livoni: scarcerato dopo sette giorni

Il cooperante italiano dell’ONG VIS, Alberto Livoni, è stato rilasciato: buone le condizioni generali 

Liberato Livoni
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È stato finalmente rilasciato, dopo sette giorni, il cooperante italiano dell’Ong VIS, Alberto Livoni, che dallo scorso 7 novembre era in stato di fermo in Etiopia. Lo conferma la stessa associazione esaltando l’intervento dell’Ambasciata Italiana in Etiopia che si è prodigata instancabilmente nell’operazione.

Finalmente” – rende noto l’organizzazione – “siamo lieti di comunicare il rilascio del nostro collega, trattenuto in stato di fermo in Etiopia negli scorsi giorni. L’operazione, condotta dall’Ambasciata Italiana in Etiopia, a cui va il nostro ringraziamento per l’instancabile impegno, ha portato oggi a rilasciare l’operatore Vis italiano in buone condizioni. Restiamo in apprensione per i due operatori Vis locali ancora trattenuti in stato di fermo, continuiamo a seguire la loro situazione auspicando anche per loro l’immediato rilascio”.

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Alberto Livori è stato trattenuto in stato di fermo perché accusato di finanziare i guerriglieri del Tigrai. Il sessantacinquenne, infatti, era stato trovato in possesso di una valigetta contenente un milione di birr; una cifra pari a circa ventimila dollari, ritrovata dalla polizia etiope che lo aveva raggiunto nella sua abitazione di Addis Abeba.

In quella circostanza Livoni è stato condotto in commissariato insieme ad altri due operatori dell’Ong VIS che, nel frattempo, non sono ancora stati rilasciati. Le indagini hanno escluso che Livoni possa aver finanziato illecitamente qualcuno. Fonti vicine all’uomo, dichiarano che il possesso di somme di denaro da parte sua è assolutamente normale, rientrando tra le sue mansioni la detenzione.

L’Organizzazione di cui è cooperante, infatti, collabora con i salesiani a progetti che tendono a diffondere istruzione e lavoro tra i giovani del posto. Nel mirino dei governatori, comunque, sono rientrati migliaia di cittadini.

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Si attende a questo punto ancora il rilascio di quanti, tra volontari e dipendenti, sono sospettati di aver intrecciato rapporti con l’esercito etiope.

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