Covid 19 Italia | Report | “Tagli alla Sanità | chi li ha fatti e perché”

‘Il Corriere della Sera’ entra nel dettaglio in merito all’emergenza sanitaria Covid 19 Italia e cerca di scoprire il perché dei tagli alla Sanità.

tagli alla Sanità
Da dove derivano i tagli alla Sanità italiana FOTO Emanuele Cremaschi per Getty Images

La crisi Covid 19 Italia è senza precedenti e ha travolto il nostro Sistema Sanitario Nazionale come mai nessun’altra circostanza aveva fatto prima. La preparazione di medici ed infermieri sta tenendo testa ad un problema di portata gigantesca. Ma anche così emergono tutti i limiti che sono propri invece della gestione dello stesso sistema.

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I primi casi di Coronavirus in Italia risalgono alla fine di dicembre, quando l’epidemia era già in corso da almeno tre settimane in Cina. A Piacenza, negli ultimi giorni del 2019, c’erano state 40 polmoniti nel giro di una settimana. Decisamente troppo rispetto alla media. Lo stesso avviene a Milano il 7 gennaio e poi a Como. Segno che la problematica Covid 19 Italia era presente nel nostro Paese già ben prima di febbraio, quando poi la crisi è divenuta riconosciuta a tutti gli effetti.

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Tagli alla Sanità, la situazione negativa degli anni scorsi ha ripercussioni oggi

Anche l’intervento del Consiglio dei Ministri, il 31 gennaio, con il riconoscimento dello stato di emergenza a causa del Coronavirus, alla luce dei fatti appare tardivo. Allora ancora non si parlava dei casi di Codogno e di Vo’ Euganeo e la situazione sembrava restare limitata alla Cina. Il nostro governo aveva attuato un piano anti-pandemia nel 2016, come riferito da ‘Il Corriere della Sera’ online, ma non è stato attuato. Ed il Ministero della Salute, il 5 gennaio, reputava non necessario agire con nessuna misura specifica per chi sosteneva viaggi da e per l’Italia. Per tutto il mese però, e per buona parte di febbraio, molto probabilmente il Covid 19 ha viaggiato per tanti ospedali d’Italia – del Nord in particolare – ed anche in altri ambienti. Scrive il CorSera: “Prima dell’inizio della pandemia in Italia c’erano 5179 posti di terapia intensiva tra pubblico e privato.

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I numeri ci condannano: scesi i posti in terapia intensiva

Occorre considerare che ogni anno il 48,4% dei posti sono occupati da pazienti affetti da altre patologie.Una circolare del ministero della Salute del 1 marzo stabiliva che aumentassero del 50%. Al 31 marzo in terapia intensiva ci sono 4023 pazienti e 9122 posti letto (guarda la tua regione). Non siamo ancora arrivati al picco e le unità in più sono diventate operative strada facendo. Durante il mese di marzo più di un medico degli ospedali di Cremona, Bergamo, Brescia ha drammaticamente ammesso di avere dovuto scegliere quali pazienti intubare e quali no. Scelta dolorosa, e decisa sulla base dell’età associata alla presenza di gravi patologie pregresse”. Emerge anche come i posti di terapia intensiva in Italia sono diminuiti rispetto ad 8 anni fa. Allora la media era di 12,5 posti letto ogni 100mila abitanti, contro le eccellenze europee rappresentate da Germania (29,2) ed Austria (21, 8).

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Molti altri Paesi europei investono più di noi nella Salute pubblica

Attualmente invece la stima è di 8,58 posti nel nostro Paese, come riportato dalla rivista statunitense ‘Intensive Care Medicine’ a margine di una apposita ricerca. E non è un caso se in Germania il 165% dei fondi pubblici finisce con il foraggiare proprio la Sanità. In tal senso sono virtuosi anche Francia (90% in più dell’Italia per fondi destinati alla Salute pubblica) e Gran Bretagna (66%). La spesa sanitaria in Italia è finanziata per il 74% da fondi pubblici. Le famiglie se ne fanno carico per il 24% e le assicurazioni per il 2%.

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E nel 2019 eravamo già da tempo sotto la media, superiori solo a Spagna e Portogallo nell’Europa occidentale. Eppure la preparazione del nostro personale, nonostante le tante difficoltà in materia di tagli alla Sanità, riesce a garantire la quarta migliore aspettativa di vita fra tutti e 36 gli stati membri della OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Fondazione Gimbe: “Questi i governi che hanno optato per i tagli”

Ma fanno la differenza anche la prevenzione, gli stili di vita e l’alimentazione. Fondazione Gimbe rende noto che c’è stato un definanziamento 2010-2019 nonostante un finanziamento pubblico del SSN aumentato di 8,8 miliardi di euro. Ma la sua crescita era dello 0,9% annuo, inferiore al tasso di inflazione media all’anno dello 1,07%. Inoltre ci sarebbero 37 miliardi di euro promessi dai vari governi ma mai erogati. Le manovre finanziarie dal 2010 al 2015 hanno portato al taglio di 25 miliardi di euro, più un altro -12 nel quadriennio 2015-2019 per esigenze di finanza pubblica.

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I governi coinvolti, secondo Fondazione Gimbe, e relativi tagli attribuibili. “Questi i fondi promessi rispetto al fabbisogno e non dati: 8 miliardi decisi dal governo Monti (Finanziarie 2012 e 2013); 8,4 decisi dal governo Letta (Finanziaria 2014); 16,6 decisi dal governo Renzi (Finanziarie 2015, 2016 e 2017); 3,1 decisi dal governo Gentiloni (Finanziaria 2018) e 0,6 decisi dal governo Conte (Finanziaria 2019)”.

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Sotto accusa anche la crescita delle strutture private a scapito di quelle pubbliche

Infine emerge un altro dato che fa riflettere. Negli ultimi 20 anni sono diminuite le strutture pubbliche per far posto a quelle private convenzionate. Le quali però non forniscono servizi come la terapia intensiva. Ed i posti letti, per via di queste scelte e dei vari tagli alla Sanità, i posti letto ogni mille abitanti sono scesi a 3,6 a fronte di una media europea di 5. Nel 1998 c’erano più ospedali ed istituti pubblici (1381 contro i 1000 del 2017) scomparsi per far posto ai loro omologhi del settore privato.

Allora c’erano 5,8 posti letto ogni 1000 abitanti. E tornando ad oggi, riscontriamo una penuria importante di infermieri ed anche di medici. Solo la Spagna ha meno infermieri di noi in Europa.

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